Cina

Seta: l’affascinante storia di un tessuto che ha fatto la storia

Vi siete mai chiesti da dove arriva e come sia stato prodotto quel prezioso indumento di seta che indossate?Se l’aveste fatto, ora sapreste che i racconti più affascinanti riguardano cose comuni, con cui abbiamo a che fare tutti i giorni. di Anna Rita Rossi Taffetà, Georgette, Chiffon, Organza, Raso, Lampasso, Broccatello, Velluto, Damasco, Crêpe, Shantung, e la lista è ancora lunga. Di sicuro riconoscerete qualche nome tra questi, altri vi saranno ignoti, eppure sono tutti tessuti di seta. Nel vostro guardaroba forse custodite gelosamente qualche camicia o un vestito di seta e indossandoli, quasi sicuramente, non vi siete mai chiesti da dove provenga il tessuto di cui sono fatti. La seta ha una lunga storia e per reperirne le origini dobbiamo spostarci nel XXVIII secolo a.C. e affidarci a una leggenda che narra di una giovane imperatrice cinese, Lei-Tsu o Xi Ling Shi, giovane moglie dell’Imperatore Giallo che nel suo giardino sta sorseggiando un tè, all’improvviso, un bozzolo di un baco precipita nella sua tazza; la giovane – magari indispettita per l’accaduto – toglie il bozzolo è si accorge che si sfila; nota la lucentezza e poi, valuta la resistenza di quello strano filo e capisce che può essere tessuto. Se dalla leggenda passiamo alla storia, veniamo a sapere che, quasi sicuramente, l’allevamento del baco da seta è iniziato in Cina tra il 2500 e il 3000 a.C., anche se alcuni sostengono sia iniziato nel 600 a.C., in India. Le vesti di seta prodotte in quel periodo erano un bene di lusso e potevano permettersele solo le categorie sociali più abbienti. All’inizio, i cinesi cercarono di mantenere il riserbo sulla loro scoperta, ma ben presto, la sericoltura si diffuse in Giappone, in Corea e in India; tramite gli arabi giunge nei paesi del Mediterraneo, intorno all’anno 1000 o 1100 d.C.

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Giornata Mondiale dell’Ambiente: tutti in campo contro l’inquinamento atmosferico

Sconfiggere l’inquinamento atmosferico è lo slogan scelto quest’anno per sensibilizzare le popolazioni del mondo e i decisori politici su un’emergenza globale di Alberto Piastrellini Il 5 giugno di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente – World Environment Day, una festività proclamata nel 1972 dall’Assemblea generale dell’ONU in occasione dell’allora istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Tanti gli spunti di riflessione che, a partire dal primo input del 1974: “Only One Earth – una sola Terra”), hanno accompagnato le celebrazioni delle varie edizioni stimolando la riflessione dell’opinione pubblica su vari aspetti problematici della più ampia questione ambientale; quest’anno il tema scelto è “Beat Air Pollution – Sconfiggere l’inquinamento atmosferico” sintetizzato nell’hastag #beatairpollution Un pungolo, per singoli individui e Governi per concentrare l’attenzione sulla necessità non procrastinabile di mettere in campo azioni per il contrasto ad un nemico subdolo, quasi invisibile, molto silenzioso che, tuttavia, è responsabile, livello globale di oltre 7 milioni di decessi prematuri e costa, in termini di welfare, la bellezza di 5.000 miliardi di dollari! Interessante la scelta del Paese ospitante per quanto riguarda gli eventi ufficiali della Giornata Mondiale, la Cina, nazione fra le più colpite dall’inquinamento atmosferico; tra l’altro tutta la regione Asia-Pacifico risulta essere la più ferita in termini di decessi prematuri: ben 4 milioni! Industrializzazione pesante, massiccia concentrazione antropica in gigantesche aree metropolitane, mobilità di merci e persone congestionata ed uso massiccio di combustibili fossili hanno contribuito sì allo sviluppo economico del “Dragone cinese”, ipotecando però, pesantemente, il presente e il prossimo futuro della nazione. Non stupisce, dunque, la scelta della location per le celebrazioni ufficiali della WED che, tuttavia, premia anche gli sforzi intrapresi dal colosso asiatico negli ultimi decenni – soprattutto nel settore della mobilità sostenibile e nell’elettrificazione dei mezzi di trasporto pubblici – proprio per diminuire il

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Bonsai: connubio gentile tra Natura e Arte

Piccoli capolavori di scultura vegetale la cui cura e contemplazione inducono all’armonia interiore. Di Alberto Piastrellini Osservare un bonsai è sempre un’esperienza che tocca corde nascoste nel profondo dell’animo. Quel piccolo abete, quell’acero fronzuto, quella quercia contorta e vecchissima sembrano un fotogramma in campo lunghissimo di un fantastico bosco ideale dove gli alberi hanno una forma precisa e rispondono a determinate associazioni di idee. Poi ci si avvicina e si scopre la magia delle proporzioni complessive che creano quell’illusione: il reticolo della corteccia, la forma coerente del tronco, le foglie in miniatura, minuscole “colline” di muschio che incorniciano la base della pianta in un paesaggio sereno e severo al tempo stesso ove, ugualmente, la forma armonica del vaso contribuisce a costituire un frammento di realtà che parla del tutto. L’arte di far crescere le essenze arboree in piccoli vasi, ingrossando il tronco ed “educando” i rami per conformarli ad un disegno complessivo che risponde a canoni estetici precisi si è sviluppata in Giappone a partire dal VI Secolo, allorquando studenti e diplomatici del Sol Levante tornarono dalla Cina della dinastia Tang con vasi contenenti “giardini in miniatura” chiamati penjing. Nei secoli successivi l’approccio filosofico Zen favorì, come in molti altri aspetti della vita e delle attività quotidiane, il fiorire di una disciplina ibrida, in questo caso connubio fra botanica, giardinaggio e scultura volta a produrre “piante in ciotola”: bonsai, infatti, è il termine nato dall’unione dei caratteri bon (ciotola) e sai (piantare), con l’obiettivo di riprodurre in casa, per il proprio e l’altrui godimento, un’opera vivente in grado di suggerire sensazioni quali solo le grandi manifestazioni della natura possono evocare. La forza di una conifera abbarbicata alla roccia della montagna piegata negli anni dal vento impetuoso, oppure la contorta maturità di un albero secolare o, perché no, l’assurda perseveranza della

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Scopriamo il Tè, bevanda gentile che ha conquistato il mondo

Di Alberto Piastrellini Dalla Cina del III Sec. alla diffusione globale, breve storia di un infuso che ha condizionato non solo le abitudini domestiche, ma anche il mercato e la creatività. La casa lasciata in penombra in un silente pomeriggio d’inverno; l’unica luce è quella della lampada da lettura che rischiara la poltrona preferita, sul tavolinetto, accanto al libro, una tazza di tè espande il suo vapore aromatico… Per molti è il momento di relax assoluto, magari vagheggiato lungo intere giornate di lavoro convulso; per tanti altri, nelle sue molteplici varianti, il piacere di una tazza di Tè diventa occasione per condividere insieme chiacchiere e golosità, come pure un istante di pausa nel rotolare delle ore. Fatto sta che il Tè in poco più di tre secoli ha conquistato il gusto dell’umanità finendo per diventare, oggi, la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua pura. Cerchiamo di ripercorrere insieme il cammino di questo semplice infuso dal suo esordio semi leggendario nell’antica Cina ai fasti del XVIII e del XIX e Secolo rivelando pure che proprio il Tè è stato protagonista nella nascita della nazione americana! La leggenda del Tè Un popolare racconto cinese fa risalire la scoperta del Tè ad un antichissimo imperatore del passato il quale sostando a meditare sotto una pianta, si addormentò col paiolo dell’acqua a bollire sul fuoco accanto. Una provvida brezza fece volare alcune foglie dalla pianta nell’acqua e, al suo risveglio, l’imperatore volle provare quella bevanda dall’intenso e soave profumo: era nato il Tè! In effetti i primi riscontri documentali sull’uso del Tè in Cina ci arrivano direttamente dal III Sec. d. C. allorquando l’infuso è utilizzato dai monaci nelle lunghe sessioni di meditazione. Nei secoli successivi il consumo di Tè come bevanda nobile e medicamentosa si allarga alle classi agiate di Cina e

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