Toscana

La rificolona antica festa toscana

di Benedetta Giovannetti La festa pare essere originaria del seicento e si ricollega all’arrivo nella città di Firenze di contadini e montanari che provenienti dai contadi vicini che dalle zone del Casentino e della Montagna Pistoiese, venivano in città per festeggiare la natività della Madonna nella Basilica della santissima Annunziata. Di queste antiche origini ai ragazzi è rimasto l’uso di portare in giro per la città dei lampioni di carta colorata, realizzati nelle forme più varie e bizzarre con un lumicino all’interno appesi in cima ad una canna. Il pellegrinaggio oltre a motivi di devozione era anche l’occasione per la gente di vendere la propria mercanzia alla fiera che si svolgeva sulla piazza davanti alla Basilica, in Via de’ Servi e nelle immediate adiacente. Ovviamente era necessario trovare dei posti migliori per poter smerciare i propri beni e per questo i contadini partivano molto tempo prima, e nella notte usavano queste lanterne colorate aperte in cima per consentire alla candela o al sego di bruciare. Con l’andare del tempo per la notte del 7 settembre in città si cominciarono a costruire lanterne ispirandosi a quelle dei contadini e alle forme delle loro donne che erano raffigurate in maniera goffa e con un lume sotto la sottana, appese a lunghe canne e portate in giro con gran baccano di campanacci urla e motteggi vari. Spesso veniva cantata la cantilena “ona ona ona ma che bella rificolona la mia l’è co’ fiocchi la tua l’è co’ pidocchi” che fu resta celebre anche dal commediografo Augusto Novelli. A fine serata capitava poi che venissero tirati oggetti contro le rificolone per farle incendiare e questo segnava la fine della festa, dopo la mezzanotte. La festa è tutt’ora in auge non solo nella piazza ma anche in molti quartieri della città e comuni limitrofi.
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Alimentazione e agricoltura: cereali resilienti per adattarsi ai cambiamenti climatici

In Toscana una sperimentazione “sul campo” per testare l’efficacia di scelte varietali diverse di cereali in grado di adattarsi alle diverse zone climatiche. Obiettivo: sostenibilità e resilienza. di Enrica Bobbio L’importanza della scelta varietale, tanto più nei cereali, è una questione fondamentale in agricoltura. Essa è riemersa con forza soprattutto con l’aumento delle superfici coltivate con metodo biologico o a basso input. Tuttavia, le varietà moderne frutto di selezioni eseguite in laboratorio e dalle multinazionali si adattano poco e male a questi tipi di coltivazione. L’agricoltura più sostenibile necessita quindi di varietà migliorate direttamente negli ambienti di coltivazione e che presentino un certo grado di eterogeneità in modo da rispondere meglio ai cambiamenti che di anno in anno si possono verificare nel campo dell’agricoltore. Questo è tanto più urgente se si considera che il fenomeno del cambiamento climatico influenza anche la quantità di nutrienti essenziali presenti nelle piante di cui ci cibiamo. Intatti, secondo un recente Studio pubblicato su Lancet Planetary Health e realizzato da ricercatori dell’International Food Policy Research Institute (IFPRI), sembra che grano, riso, mais, orzo, patate, soia e verdure sono tutti proiettati a subire perdite di nutrienti di circa il 3% in media entro il 2050 proprio a causa dell’elevata concentrazione in atmosfera di anidride carbonica. Sembra un paradosso ma se è vero che livelli più elevati di CO2 possono aumentare la fotosintesi e la crescita in alcune piante, è pur vero che l’effetto negativo si ha nella riduzione della concentrazione di nutrienti chiave nelle colture, soprattutto a carico di Proteine, ferro e zinco. In campo agricolo, nel settore dei cereali, dal 2010 sono stati realizzati vari Progetti europei di ricerca proprio per studiare l’efficacia dell’uso di popolazioni diverse; in Toscana, grazie al Progetto regionale: PS-GO n.° 46/2017 PSR la sperimentazione è partita da una popolazione di frumento

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