Identità di genere e sessualità: il film che parla di culto e coming out

(La sfida dei giovani cresciuti in famiglie fondamentaliste religiose )

La frase “You can live forever” non è solo una potente affermazione evocativa, in grado di infondere speranza e di accendere il desiderio di eternità, ma è anche il titolo di un eccellente film prodotto in Canada e presentato con successo al Tribeca Film Festival del 2022. Quando due temi già di per sé controversi e oggetto di continui dibattiti, come l’affiliazione a culti abusanti e l’omosessualità, si intrecciano nella stessa pellicola, l’effetto è sconvolgente. Il film è ambientato negli anni ’90 e narra la storia di una ragazza adolescente che, alla morte del padre, si trasferisce a vivere con gli zii, una famiglia di Testimoni di Geova, e di come l’amore lesbico sbocci tra lei e un’altra giovane ragazza della congregazione in una comunità religiosa che su alcuni temi è repressiva. Il film ci permette di fare considerazioni più generali su come possa essere difficile e doloroso per una persona giovane identificarsi come LGBTQIA+ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer, Intersex, Asexual e Plus) essendo cresciuta in un culto e in una famiglia di fondamentalisti religiosi.

In realtà, alcuni passi della Bibbia, presi letteralmente o decontestualizzati, o perché inevitabilmente espressione di una cultura discriminativa, favoriscono una interpretazione più severa. Ad esempio, Levitico 18:22 afferma: “Non giacerai con un uomo come si giace con una donna: è una abominazione”, un versetto che se preso isolato così com’è parrebbe non lasciare adito a dubbi. Tuttavia, la domanda che andrebbe posta, e che chi ha convinzioni radicate difficilmente si fa, è la seguente: la condanna dell’omosessualità come orientamento sessuale è l’unico modo con cui si può intendere questo passo, o ce ne sono altri? Alcuni studiosi biblici sostengono, ad esempio, che questo versetto non si riferisce all’omosessualità come orientamento sessuale, ma piuttosto alla pratica dell’omosessualità come parte di rituali pagani. Inoltre, il Levitico contiene molte altre restrizioni, come il divieto di avere rapporti sessuali durante il ciclo mestruale o di mangiare alcuni cibi, che oggi non sono più considerati vincoli morali. Non è sbagliato avere opinioni precise su un certo argomento, ma è sempre meglio che le proprie opinioni e scelte non ignorino le diverse letture possibili.

Tornando all’oggi, spesso si rivolge l’accusa a chi ha un orientamento omosessuale, o comunque diverso da quello eterosessuale,  di aver scelto un comportamento che si può invertire in qualsiasi momento, inculcato dall’ambiente o da un’educazione specifica, invece di riconoscere che esso fa parte della naturale identità della persona. Per le persone che non si identificano esclusivamente come maschili o femminili, o non si identificano affatto nel binarismo di genere uomo-donna, il coming out può essere ancora più difficile, poiché si riferiscono a una identità “non binaria”. Queste persone possono identificarsi come una combinazione di entrambi i generi, come un genere completamente diverso, come un’assenza di genere o come un genere fluido che cambia nel tempo.

Non è difficile immaginare che in una famiglia di fondamentalisti religiosi che leggono la Bibbia alla lettera e che seguono un moralismo asfissiante, la sessualità venga vista come un’aberrazione, una scelta sbagliata e un peccato. In tale contesto, la mancanza di sostegno e comprensione all’interno della propria famiglia è inevitabile. I genitori potrebbero non capire o negare completamente l’identità di genere e sessuale del loro figlio, o potrebbero reagire in modo violento o ostile. Potrebbe esserci una pressione da parte della famiglia per cambiare l’identità sessuale del giovane o per nasconderla agli altri. Inoltre, la famiglia potrebbe limitare l’accesso del giovane alla comunità  LGBTQIA+  e alle risorse di sostegno, come organizzazioni non profit e gruppi di supporto. Questo potrebbe portare a un senso di isolamento e solitudine, che può danneggiare la salute mentale del giovane. In alcuni casi, i giovani possono essere sottoposti a terapie di conversione, trattamenti non scientifici e spesso dannosi per cercare di cambiare la loro identità sessuale. Queste terapie sono state condannate da numerose organizzazioni mediche e psicologiche, ma possono ancora essere promosse in alcune comunità religiose.

I messaggi discriminatori e omofobici all’interno della comunità religiosa finiscono per causare sensi di colpa, vergogna e paura, e questo porta un giovane a sentirsi costretto a nascondere la propria identità di genere, sessuale, sentimentale e romantica agli altri. Le difficoltà di essere un giovane LGBTQIA+  possono anche estendersi alla sfera sociale al di fuori della comunità religiosa. In vari ambiti, come quello scolastico o lavorativo, potrebbe esserci una pressione per conformarsi ai ruoli di genere tradizionali e per evitare comportamenti che possano essere considerati non conformi alle norme sociali.  Inoltre, il fatto che un giovane possa affrontare problemi di autostima e auto-accettazione a causa di situazioni di bullismo omofobico e discriminazione da parte dei suoi pari potrebbe seriamente compromettere la sua salute mentale. Questo scenario non è esaltante, ma spiega perché il cosiddetto “coming out” rappresenti un atto liberatorio per la persona che lo compie, anche se spesso coglie di sorpresa coloro che ne vengono a conoscenza.

Non è mia intenzione, né lo scopo di questo articolo, stabilire cosa sia naturale o non lo sia, o decidere la vera interpretazione dei testi sacri. Inoltre, non intendo risolvere le recenti polemiche sull’opportunità o meno di rimuovere i titoli di padre e madre dai moduli e dai documenti, in favore di termini più neutri come genitore 1 e genitore 2, o decidere sull’uso della “X” per sostituire la desinenza maschile o femminile nei nomi e negli aggettivi, il tutto a favore dell’inclusività.

Ciò che ritengo possa e debba essere condiviso e promosso da tutti, al di là delle diverse e legittime scelte e interpretazioni, è l’impegno all’accoglienza e all’ascolto non giudicante di chi esprime e vive una vita diversa dalla nostra, senza rinunciare alle proprie idee ma senza rinunciare anche a quel senso di umanità che è ciò che tutti condividiamo non solo come natura ma anche come possibilità nella relazione con l’altro.

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