Natura

Stone balancing: l’arte effimera delle pietre in equilibrio

Tra land art e meditazione creativa, una pratica suggestiva che cattura la fantasia e lascia una traccia transitoria di sé. di Alberto Piastrellini Passeggiando su una spiaggia rocciosa e sassosa, sulle rive di un torrente o lungo il sentiero di una montagna, vi sarà capitato di osservare strane “costruzioni” di pietre sovrapposte in equilibrio precario, quasi a sfidare le leggi della fisica. Sono chiaramente opera dell’uomo, ma non hanno l’utilità pratica degli “ometti” di pietra che segnalano una biforcazione del sentiero o la retta via al camminatore, tutt’altro…Quelle precarie sovrapposizioni di pietre sono piccole opere d’arte estemporanee ed effimere di altrettanti ignoti autori affascinanti dalla pratica dello Stone balancing. Già la scelta del materiale ha in sé qualcosa di magico, di arcaico, di ritorno al primitivo.Le pietre, infatti, recano un portato di secoli e accadimenti che ne hanno determinato la forma complessiva, la posizione, il colore, la texture della superficie. Individui particolarmente sensibili traggono particolari sensazioni dal maneggiare questa o quella pietra che “risponde” – a lor detto – emanando “vibrazioni” più o meno positive. Non è questo, certo il luogo adatto a sviluppare un discorso in tal senso, tuttavia è esperienza comune che la particolare forma di una pietra attrae l’attenzione e la curiosità, pertanto, realizzare sculture estemporanee formate dalla sovrapposizione quasi miracolosa di pietre di forme e dimensioni diverse, variamente orientate nello spazio ed in rapporto di equilibrio fra di loro significa regalare al mondo, anche solo per pochi istanti, un qualcosa di magico che accende la fantasia e apre la mente. Non a caso molti appassionati di stone balancig riconoscono a questa pratica a metà fra land art e meditazione creativa un notevole potere di rilassamento interiore fatto di ricerca dell’equilibrio (spirituale prima ancora che fisico), consapevolezza dell’ambiente circostante, immersione quasi totale negli elementi della natura. Diventare

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Acquario: la meraviglia del mondo subacqueo in casa

Un angolo di natura da approcciare con competenza e preparazione nel rispetto degli animali e delle piante ospiti Di Alberto Piastrellini Nella ricerca, spesso dettata da ridicole mode che a distanza di tempo spingono verso questa o quella razza di cane o di gatto nella scelta per il proprio animale domestico che, in molti casi, purtroppo, sfocia in una manifestazione di status symbol piuttosto che nella semplice esigenza di affezione e compagnia, da qualche decennio, complice la riduzione dei costi di acquisto, si è sempre più affermato il piacere verso l’acquario e l’acquariologia. L’acquario, tanto quello marino (molto impegnativo), quanto quello di acqua dolce (mediamente impegnativo e comunque più abbordabile per i neofiti), ha l’indiscutibile appeal di portare in casa non solo qualche animale da osservare (l’interazione, in questi casi è oggettivamente limitata), ma, nella sua forma più corretta, tutto un piccolo ambiente naturale funzionale al benessere dell’animale stesso e delle diverse specie coinvolte. Acquariofili appassionati e studiosi dilettanti, si divertono, in questo senso, a ricreare nel piccolo habitat specifici che ricalcano le caratteristiche di singoli laghi o fiumi con tutta la relativa ricchezza delle specie coinvolte. L’acquario consente, quindi, un’osservazione privilegiata di fenomeni naturali e dei comportamenti animali normalmente “nascosti” alla vista dei più se si esclude la pratica della subacquea ricreativa e della ricerca specifica. Ma non solo, osservare un acquario è sempre un’esperienza stimolante e allo stesso tempo rilassante: forme e colori di pesci ed invertebrati stuzzicano la fantasia e la curiosità mentre il movimento degli animali nell’acqua induce un senso quasi ipnotico di pace e di relax. Non a caso, già da tempo studi di medici, dentisti, psicologi e psicoterapeuti, ospitano acquari nelle sale d’attesa ove i pazienti possono decomprimere le loro ansie. Il senso della vista, poi, non è l’unico ad esserne stimolato perché, anche

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Il mondo della cosmetica in mostra al Cosmoprof Worldwide Bologna

Dal 14 al 17 marzo la Fiera di Bologna ha ospitato la manifestazione leader che riunisce tutti i settori dell’industria della bellezza: dalla materia prima al prodotto finito. Donna di Fiori era presente per raccontarlo. Di Alberto Piastrellini Cosmetica e beauty, in tutte le loro infinite declinazioni quotidiane, sono voci importanti nell’universo femminile (e non solo) e Donna di Fiori, a pochi mesi dalla sua uscita non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di una visita al Cosmoprof Worldwide Bologna: la vetrina di riferimento per l’evoluzione dell’industria cosmetica a livello globale in programma alla Fiera di Bologna dal 14 al 17 marzo. Oltre 3.000 espositori provenienti da più di 70 Paesi; più di 265.000 operatori professionali da 152 Paesi, migliaia di visitatori fanno dell’evento fieristico l’appuntamento chiave per l’industria cosmetica; il luogo dove le tecnologie più all’avanguardia, i prodotti più innovativi, le proposte più sostenibili per l’ambiente che sfruttano i risultati della ricerca più avanzata in un ideale connubio con gli ingredienti della tradizione e i trattamenti più antichi della storia della cosmesi si intrecciano in un percorso espositivo che fotografa il presente del settore e guarda all’immediato futuro. Una fiera importante, non solo come mostra di innovazioni per la cura di sé e della propria bellezza; si consideri infatti che in Europa il nostro Paese è il quarto sistema economico della cosmetica dopo la Germania, Francia e Regno Unito con 35.000 occupati che salgono a 200.000 con l’indotto (Dati Cosmetica Italia – Associazione Nazionale Imprese Cosmetiche). Un settore, quello della cosmetica, non solo rivolto ad un pubblico femminile, ma in gran parte costituito proprio da donne: sempre Cosmetica Italia, in occasione del Cosmoprof ha sottolineato che le donne impiegate nel settore rappresentano il 54% (circa 19.000), mentre la media dell’industria manifatturiera è ferma al 28%. E ancora, nel settore, i laureati totali sono pari all’11% degli occupati, contro una media nazionale del 6%

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Villa Lante, racconto magico di acqua e di verde

Fra i più bei giardini italiani del ‘500, Villa Lante stupisce il visitatore con meravigliose fontane che costituiscono un interessante “racconto” allegorico del rapporto Uomo-Natura. Di Alberto Piastrellini Un’idea per una gita domenicale alla scoperta della bellezza nascosta nel nostro patrimonio storico architettonico, non disgiunto da suggestioni verdi è rappresentata dalla mèta di Villa Lante, divertente capriccio del ‘500 italiano a pochi Km da Viterbo nel piccolo centro di Bagnaia. La visita alla Villa e al suo magnifico parco-giardino che ricadono fra i luoghi di cultura del Ministero per il Beni e le Attività Culturali – Polo Museale del Lazio offre la possibilità di immergersi in un contesto dove Arte e Natura convivono da sempre in un rapporto privilegiato mediato dalla presenza significativa dell’acqua utilizzata per costruire una sorta di messaggio cifrato nascosto nella presenza delle innumerevoli fontane che costituiscono l’attrazione principale del giardino stesso. Un po’ di storiaOltre 22 ettari di parco concepiti in primo luogo nei primi anni del ‘500 quando il Cardinale Raffaele Riario volle creare una sua personale riserva di caccia: il “barco”, cintando con un’alta murata la sommità di un intero colle. I proprietari che si succedettero nell’arco di un secolo, ovvero i cardinali Niccolò Ridolfi, (1538 – 1550); Giovanni Francesco Gambara (1568 – 1587), Federico Cornaro (1587 – 1590); Alessandro Peretti Montalto (1590 – 1623) apportarono modifiche consone alle proprie diverse esigenze e personalità aggiungendovi vari ambienti adibiti ad abitazione, scuderie e casini di caccia seguendo i gusti e la moda del tempo in un gioco di sovrapposizioni di stili diversi. Il tutto sino al 1656 quando Villa e Giardino passarono in enfiteusi alla famiglia Lante della Rovere che ne mantenne la proprietà sino al 1933. Villa Lante: suggestioni verdiPasseggiare nel Parco fra le selve di querce secolari, platani, cedri ed ippocastani cullati dal

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Bottle garden: lo stupore di un giardino sottovetro

Un giardino in bottiglia porta un angolo di Natura in casa, arreda con discrezione e dà la possibilità di osservare e comprendere la magia dei processi naturali. Di Alberto Piastrellini Da sempre godiamo nell’avere accanto, all’interno delle nostre case, elementi naturali vivi che ci avvicinano a quella dimensione naturale che, il progresso ci ha lentamente alienato.Se vasi, fioriere e cache pot allietano e rinfrescano gli interni e gli esterni delle abitazioni arrivando a costruire financo rigogliosi angoli verdi degni di una foresta tropicale in miniatura, se la tecnica bonsai ci consente la magica illusione di poter disporre di alberi centenari in soggiorno; se l’arte ikebana della disposizione di fiori recisi ed elementi vegetali ci apre la mente alla gioiosa contemplazione di effimere schegge di Natura, la presenza di un giardino in bottiglia stimola la fantasia e la curiosità dell’osservatore e, per l’appassionato di lavoretti green rappresenta una sfida di non poco conto. Il contrasto rappresentato dai toni bruni della torba e delle sabbie ed il verde tenero delle foglie minute vestite di goccioline di umidità evoca l’immagine di un meraviglioso altrove ideale e primordiale dove la natura regna incontrastata e selvaggia. Allo stesso tempo, la superfice brillante del vetro delimita il confine del microcosmo svelando la realtà di un ambiente educato dall’uomo ma, non per questo meno meraviglioso. Il giardino in bottiglia, parente povero del terrario costituisce un vivace elemento d’arredo in grado di sposarsi con un’ampia varietà di stili e di non sfigurare affatto con il design contemporaneo grazie alla diversa personalità dei contenitori utilizzati che vanno dalle classiche bottiglie panciute, ai grossi barattoli in vetro in un crescendo di forme e dimensioni che solo la fantasia e la disponibilità possono frenare. L’importante è considerare attentamente l’apertura di accesso al contenitore che dovrà essere abbastanza larga da consentire l’inserimento

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Bonsai: connubio gentile tra Natura e Arte

Piccoli capolavori di scultura vegetale la cui cura e contemplazione inducono all’armonia interiore. Di Alberto Piastrellini Osservare un bonsai è sempre un’esperienza che tocca corde nascoste nel profondo dell’animo. Quel piccolo abete, quell’acero fronzuto, quella quercia contorta e vecchissima sembrano un fotogramma in campo lunghissimo di un fantastico bosco ideale dove gli alberi hanno una forma precisa e rispondono a determinate associazioni di idee. Poi ci si avvicina e si scopre la magia delle proporzioni complessive che creano quell’illusione: il reticolo della corteccia, la forma coerente del tronco, le foglie in miniatura, minuscole “colline” di muschio che incorniciano la base della pianta in un paesaggio sereno e severo al tempo stesso ove, ugualmente, la forma armonica del vaso contribuisce a costituire un frammento di realtà che parla del tutto. L’arte di far crescere le essenze arboree in piccoli vasi, ingrossando il tronco ed “educando” i rami per conformarli ad un disegno complessivo che risponde a canoni estetici precisi si è sviluppata in Giappone a partire dal VI Secolo, allorquando studenti e diplomatici del Sol Levante tornarono dalla Cina della dinastia Tang con vasi contenenti “giardini in miniatura” chiamati penjing. Nei secoli successivi l’approccio filosofico Zen favorì, come in molti altri aspetti della vita e delle attività quotidiane, il fiorire di una disciplina ibrida, in questo caso connubio fra botanica, giardinaggio e scultura volta a produrre “piante in ciotola”: bonsai, infatti, è il termine nato dall’unione dei caratteri bon (ciotola) e sai (piantare), con l’obiettivo di riprodurre in casa, per il proprio e l’altrui godimento, un’opera vivente in grado di suggerire sensazioni quali solo le grandi manifestazioni della natura possono evocare. La forza di una conifera abbarbicata alla roccia della montagna piegata negli anni dal vento impetuoso, oppure la contorta maturità di un albero secolare o, perché no, l’assurda perseveranza della

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