Donna Eliconia

Calligrafia: l’arte della bella scrittura che fa bene alla mente e all’anima

Alla scoperta dei benefici psicofisici dell’esercizio della scrittura a mano; per recuperare il senso del bello e della manualità nella comunicazione. In un’epoca che ha fatto della digitazione la principale attività motoria e nella quale il rapporto primario con la scrittura a mano è quasi relegato alla sola attività scolastica, parlare di calligrafia sembra anacronistico e totalmente al di fuori della realtà. Ma è veramente così? La parola che definisce la “bella scrittura” (dall’unione dei termini greci antichi καλòς – calòs “bello” e γραφία – graphìa “scrittura”) ha un sapore antico e, per taluni, quasi amaro e nostalgico; ricordi di vecchi racconti di una scuola fredda dove alunni intirizziti riempivano pagine di asticelle cerchietti ed uncini in attesa del severo giudizio del Maestro di turno pronto alla lode e altrettanto lesto alla bacchettata. Già, perché, sino alla diffusione della “macchina da scrivere”, prima, e dei programmi di videoscrittura per PC, poi, avere una bella grafia era prima di tutto un vanto personale oltre che un ottimo biglietto da visita per professioni impiegatizie. Tuttavia, si sa, il passato, almeno in certe forme, tende a ritornare ed allora ecco che il piacere lasciare sul foglio tratti squisiti – oltre che estremamente leggibili – è tornato ad essere elemento distintivo, originale e, perché no, frutto di grande piacere personale. Da qualche anno (ma Associazioni e Circoli culturali nel mondo hanno sempre mantenuto verde la pianta della calligrafia), si assiste ad un revival nella pratica calligrafica; si pubblicano libri e manuali, si moltiplicano i corsi ed i laboratori; occasioni speciali ed eventi sociali richiedono ed investono nella scelta charmante di un prodotto distintivo e di qualità come un invito, una partecipazione, una locandina scritti a mano. Nelle Marche, fra le colline di Recanati (MC) è persino attivo un moderno Scriptorium – Laboratorio di Scrittura

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UN TAGLIO ORIGINALE

Diamoci un taglio. Perché un coltello in una pietanza speciale non può essere uno qualunque. Di Eleonora Giovannini Il coltello ha molte proprietà, dalle più macabre, in efferati delitti passionali, alle più  giocose, in quel banco di scuola dal profumo di pongo, la pasta morbida schiacciata fin dentro le unghie, rifinita con tagli ed intagli. Maria Montessori, che di bambini de ne intendeva, avrebbe detto che non si toglie dalle mani di un bimbo un coltello, ma gli si insegna ad usarlo, proprio in virtù delle sue proprietà poliedriche, grazie alle quali è possibile fare di uno strumento l’oggetto della discordia, come quello della bellezza. Utilizzato da scultori, da pasticceri, da giocolieri, il coltello resta uno degli strumenti più affascinanti. Non ultimo tra le dita di una donna raffinata e al tempo stesso ironica che, il giorno di Natale festeggia scegliendo quello più strambo,  affondandone la lama dentro una torta altrettanto speciale. Tutto ciò si incastona nella memoria come memorabile momento di euforica magia.
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L’ANIMO NATALIZIO DELLA DONNA

Per una donna è Natale ogni giorno. Di Eleonora Giovannini La predisposizione d’animo femminile è sempre natalizia, riconducibile alla sua naturale inclinazione alla raffinatezza del dettaglio, all’addobbo, al colore scelto. Le donne sembrano depurarsi da mille forme di aggressione esterne attraverso la scelta del bello, della tavola imbandita, della tenda che tiene conto della luce. La donna ha uno sguardo che ricama le cose, si relaziona all’altro come se tra sé e le cose spuntasse costantemente un fiore. Ma la cosa che più apprezza negli altri, in modo particolare negli uomini, è la gentilezza, la cortesia, quel rispetto d’altri tempi forse non più di moda o non troppo considerato dal mondo maschile. Se ancora c’è chi spende troppi soldi per conquistare una donna, in qualche parte del mondo c’è ancora uno gnomo che coglie un fiore e lo porge, che apre lo sportello di un’auto, che si accorge dell’utilizzo di un nuovo profumo. Quando accade ciò, il Natale si rinnova. La donna è unica, è una, come il giorno dell’anno. Come una nascita attesa. Un’essenza forse persa perfino da lei stessa, costretta a imbruttirsi in epoche prive di giardini e di mani delicate in grado di irrigarli.  
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ORIGAMI, L’ARTE DI PIEGARE LA CARTA IN FORME SEMPRE NUOVE

Tra raffinato passatempo e forma di espressione simbolica, un’arte antica che richiede calma, concentrazione e tanta fantasia e creatività. Di Alberto Piastrellini Le dita della mano intente a realizzare pieghe precise nella carta washi e dopo pochi gesti, semplici e complessi al tempo stesso, ecco che dalla quasi bidimensionalità del foglio sboccia un piccolo miracolo in forma di coniglio. La pratica dell’origami (l’arte giapponese del piegare la carta il cui nome deriva dall’unione dei termini oru: piegare e kami: carta), reca con sé tutto un portato a metà fra piacere, raffinato passatempo e meditazione tipico dell’approccio alla vita degli abitanti del Sol Levante, approccio che vede nella contemplazione e riproduzione inspirata e non pedissequa di forme naturali la più alta forma di penetrazione nell’essenza del mondo. Pratica, questa che si sposa con un ideale estetico estremamente profondo e minimale che da secoli accompagna la vita di tutti i giorni: “In verità tutte le cose piccole sono belle”, scriveva l’aristocratica poetessa giapponese Sei Shōnagon più di mille anni fa nella sua opera più nota “Note del guanciale” e ancora oggi questa considerazione sembra guidare la mano di artisti e artigiani di ogni sorta: nella musica, come nella pittura, nella letteratura come nelle arti minori. Ma non è solo pura ricerca estetica quella che guida la creatività di tanti piegatori di carta giapponesi; in passato l’origami aveva un significato più profondo che richiamava principi filosofici e religiosi legati all’impermanenza delle cose umane, al ciclo della vita e della morte e alla sua accettazione come parte di un percorso più ampio. Lo stesso materiale usato in quest’arte, la carta (il termine kami in giappone indica anche un oggetto di venerazione della fede shintoista e può anche indicare uno Spirito o un Dio), con la sua fragilità suggerisce l’effimero dell’uomo e delle sue produzioni; la

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Un segnaposto originale per le grandi occasioni

I colori ci accompagnano nella vita di ogni giorno, raccontano la nostra storia e con le loro sfumature nè avvolgono i ricordi. Di Carmen Marinucci. I colori cambiano come cambiano le stagioni, influenzando la nostra mente e il nostro corpo. In questi giorni vicini al Natale, tutto si trasforma, le città si accendono di luci e si tingono di innumerevoli sfumature, il profumo di agrumi, zenzero e cannella inonda strade e vicoli, ovunque si respira un’atmosfera particolare e tutto diventa magico. Nelle case fervono i preparativi, l’albero, il presepe, il pranzo, nessun dettaglio viene trascurato, tutto è curato con molta attenzione. Anche la tavola che diventa protagonista del Natale, viene apparecchiata e decorata con un tocco originale per stupire amici e parenti. Così ho pensato a due idee “fai da te” per il menù e il segnaposto da realizzare con le vostre mani, che regaleranno personalità al vostro invito e renderanno ancor più magico questo Natale.  
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NINFA: L’IMPRONTA FEMMINILE DI UN GIARDINO STORICO

Sottotitolo: Ai piedi dei monti Lepini, a due passi da Roma, un luogo incantato di acque e di verde, frutto di una sapiente e secolare gestione del territorio e, non ultima, dall’impronta squisitamente femminile. Di Alberto Piastrellini Vi sono luoghi magici, dove la Natura sembra regnare incontrastata sulle rovine dei secoli passati, luoghi dove lo Spirito del luogo si manifesta nelle polle d’acqua cristallina, nei rampicanti che abbracciano le antiche pietre, negli alberi secolari che paiono dotati di una personalità propria come si narra nel folklore del Nord Europa ove, in alcuni casi, non c’è separazione di specie fra la pianta e la Fata che la abita.   È a pochi passi da Roma, nel territorio del Comune di Cisterna di Latina e già il nome evoca l’immagine di un luogo “diverso”, un “altrove” sospeso in una dimensione parallela: è il Giardino di Ninfa. Classificato da autorevoli riviste inglesi tra i dieci Giardini più belli al mondo e premiato alcuni mesi fa all’European Garden Award nella Sezione: “L’eredità europea dei giardini e del giardinaggio”, il Giardino ha una storia plurisecolare a partire dal tempietto di epoca romana, dedicato alle Ninfe Naiadi, divinità delle acque sorgive, costruito nei pressi dell’attuale parco.   SETTE SECOLI CON I CAETANI La storia di Ninfa, è antichissima, affonda le radici nella Roma classica, ma è nel X Sec d. C. che sembra risorgere dalla polvere dei secoli precedenti quando, assunta a stato di città, passa sotto la giurisdizione di importanti famiglie locali come i Conti di Tuscolo, i Frangipani, gli Annibaldi, i Colonna e infine la potente famiglia dei Caetani.   Proprio un famoso, quanto discusso esponente della famiglia, Benedetto, più noto col nome di Papa Bonifacio VIII, aiutò suo nipote Pietro II Caetani ad acquistare Ninfa ed altre città limitrofe, segnando l’inizio della presenza

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