Il libero pensiero positivo di Rita Levi Montalcini ispira le donne 

Quando fare di testa propria conduce a grandi traguardi nella vita.

“Dì che sei una libera pensatrice!”. Questa l’esortazione paterna con cui sembra sia cresciuta Rita Levi Montalcini. A condurci per mano, tra i meandri e gli aneddoti più significativi della parabola ascendente della grande neurologa italiana, è la giornalista Marta Boneschi, con un libro dal titolo emblematico. Il volume su cui si intende accendere i riflettori è “di testa loro” uscito nella collana “Le Scie” di Mondadori. Ed il titolo del capitolo dedicato alla Montalcini è ancora più esplicativo. La Boneschi sceglie infatti “Il lato positivo delle cose” come titolo per introdurre i lettori alla vita della Montalcini. Vediamo perché la giornalista è stata ispirata proprio da questo leitmotiv.

E’ d’obbligo ricordare che Rita Levi Montalcini nasce a Torino il 22 aprile 1909, quindi un’epoca in cui il destino delle donne era praticamente segnato sin dalla nascita. E così tanto Rita che la sorella Paola vengono iscritte al liceo femminile, “un vicolo cieco – citando testualmente – che non dà accesso ad altri studi. Imparano le buone maniere, la gestione della casa, ricevono un’infarinatura di cultura generale”. Ma “in casa Levi non si coltiva alcun pregiudizio sulle capacità dell’intelletto femminile”. Ciò che si mette di traverso nella formazione della giovane Rita è però la visione pratica della vita a cui l’austero padre si ispira. E’ cioè “inutile che le ragazze proseguano gli studi, tanto sono destinate a sposarsi”. 

Ma l’indole di Rita che dal padre sembra aver adottato un carattere sufficientemente forte da non lasciarsi smontare, ha in serbo ben altro. La ragazza vuole cioè iscriversi alla facoltà di medicina, ma questo significa far fronte ad un nuovo ostacolo, vale a dire il consenso paterno. Il padre Adamo è pur sempre figlio del suo tempo e così obietta alla figlia che si tratta di “una carriera lunga e difficile, non adatta a una donna”. Ma Rita s’impunta e ricorre addirittura allo sciopero della fame pur di spuntarla sul padre. E ci riesce! La passione che comincia a profilarsi negli studi è quella per l’esplorazione e la scoperta. E così, dopo i primi anni di studi universitari, si fa chiaro in lei l’interesse per la ricerca scientifica. 

“Sente che l’attitudine a vedere il lato positivo delle cose, appresa dai genitori, l’aiuterà ad affrontare un’attività dove la ricompensa sarà, nella migliore delle ipotesi, molto lenta ad arrivare”. Questo le consentirà di far fronte a svariate prove che la vita le metterà di fronte, sia a livello personale che sociale. Si rammenti che la Montalcini, in quanto ebrea, visse sulla propria pelle le epurazioni del periodo fascista. Per cui, ad un certo punto, non potrà insegnare, né frequentare i laboratori, e nemmeno esercitare la professione medica. Ma anziché piangersi addosso, prende al volo un invito da parte di un professore e prosegue la sua ricerca neurologica a Bruxelles. 

Poi sarà la volta di St Louis dove trova l’America in tutti i sensi. Lì la comunità scientifica è davvero vivace, l’apprezzamento dei colleghi sincero, le occasioni di crescita innumerevoli. Di lei viene particolarmente apprezzata la “capacità di vedere quello che gli altri non vedono e di intuire il non palese”. E da qui in avanti in una escalation progressiva di successi, non privi di ostacoli che lei sembra affrontare sempre con incrollabile ottimismo, fino al premio Nobel. “Il caso di Rita – scrive Boneschi – è straordinario perché si è fatta onore in una professione “non adatta a una donna”. E’ il lieto fine di una storia iniziata nel 1930 con lo sciopero della fame, proseguita nel dopoguerra in mezzo ai dubbi sull’utilità degli esperimenti e portata avanti sempre con quella ricetta di coraggio, lucidità e rettitudine che lei chiama “eredità” ma che è invece qualcosa che ha costruite da sé”.      

Di Maria Teresa Biscarini

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