La donna d’arte che ha ispirato il libro “L’Amante del bosco” 

La donna a cui è stata intitolata l’Università di Arte e Design  

Quando la scrittura si sposa con la pittura nascono dei capolavori. Lo sa bene la scrittrice Susan Joyce Vreeland habituè nel prendere spunto dalle tavole pittoriche per creare delle storie dove le figure femminili sono al centro. E’ questo il caso de “L’Amante del bosco” pubblicato nella collana “I narratori delle tavole” della casa editrice Neri Pozza. Chi è che si cela dietro questo suggestiva definizione? Emily Carr, una pittrice culto di generazioni di artisti. E chi era costei ci si potrebbe chiedere alla maniera del Don Abbondio di manzoniana memoria? Una personalità irrequieta e a tratti scandalosa, per i canoni dell’epoca poi riabilitata al punto che le è stata intitolata la University of Art and Design del Canada.

La Carr nasce nel 1871 nella Columbia Britannica e ben presto si trova a scontrarsi con le ipocrisie e i pregiudizi della società vittoriana. Così, appena può, fugge alla ricerca di un luogo che le consenta di esprimere il proprio vero io. E sarà solo nella foresta dell’isola di Vancouver, uno tra i posti più selvaggi, liberi e per questo anche più seducenti della terra, che troverà il suo démone interiore: il bosco. Sarà quindi proprio quel mondo fatto di paesaggi aspri e selvaggi, popolato dalle tribù di indiani, a divenire fonte privilegiata d’ispirazione per la sua arte. 

E sarà proprio questo ambiente popolato di totem, case di cedro, canoe ed alberi imponenti ad essere rappresentato nei quadri della Carr. Una donna e un’artista ai limiti del sistema sociale del temp. Una single, dedita all’arte che scelse di vivere tra le tribù indiane in modo selvaggio e pagano. Un’icona del femminismo rimasta ai margini della storia e da ultimo riscoperta proprio grazie ai suoi pali totemici trasposti su tela. Ed è proprio grazie a lei se ancora oggi ci è consentito ammirare il “Totem che piange”, il “Palo dell’Orso Grizzly” e ancora i pali totemici di Kitsegukla.

Sarà quindi anche merito di Emily Carr e del suo viaggio, prima interiore e poi reale, se anche noi oggi siamo in grado di cogliere le radici di una cultura e di uno spirito a noi estranei. Infatti parafrasando il libro “c’è qualcosa dipiù grande di un fatto, lo spirito che lo sottende, tutto ciò che un fatto nasconde, l’umore, la vastità, il respiro”. Vastità e respiro che la Carr visse di persona peregrinando tra i vari villaggi nell’arcipelago delle Queen Charlotte Islands. Un viaggio vissuto in solitudine forse perché, come dice anche la Vreeland “i viaggi importanti devono essere fatti da soli”.      

Di Maria Teresa Biscarini

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