Donna Eliconia

Le calze: un viaggio curioso nella storia di un accessorio tra vanità e utilità

Le calze ci accompagnano in fogge e usi diversi lungo tutto il corso della vita. Colorate, briose, sexy e anche salutari, non possiamo proprio farne a meno. di Anna Rita Rossi Le calze hanno una lunga e fortunata storia.Già al tempo degli egizi erano utilizzate: nelle tombe dei faraoni sono stati ritrovati frammenti di calze lavorate a maglia; in Grecia, presso i romani, ma anche in Cina nell’antichità, le calze erano un accessorio indispensabile per tenere al caldo i piedi e ne veniva fatto largo uso. Dalle prime tipologie di calze, che alla loro comparsa erano spesso delle semplici fasce di tela, si deve arrivare fino al Medioevo e alla lavorazione della seta per poter parlare di calze vere e proprie, come le intendiamo oggi.Per diversi secoli esse restano – pensate un po’ – un appannaggio degli uomini. Le donne devono attendere fino al 1300 per poter indossare sotto la veste delle calze di panno o di seta che all’epoca erano di colore rosso e lunghe fino al ginocchio. Nei secoli a seguire, le calze da donna si allungano, avvicinandosi alle attuali calzamaglie; abbellite da ricami fatti a mano o da elaborati merletti, erano un oggetto di lusso che potevano permettersi solo le donne delle classi abbienti. Bisogna attendere la produzione “in serie”, grazie alle macchine per avere una maggiore diffusione delle calze, anche nelle classi meno fortunate economicamente. Quando finalmente le donne ebbero la possibilità di mostrare le gambe, le calze ebbero un incredibile successo e diventarono un accessorio irrinunciabile del vestiario femminile.In quanto ai materiali, si passò dalla seta al rayon e infine al nylon, materiali sempre più economici e quindi, accessibili a tutti; inoltre, i nuovi materiali resero le calze più resistenti e sempre più velate. Oggi, le calze sono diventate delle vere protagoniste, un punto di

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Stone balancing: l’arte effimera delle pietre in equilibrio

Tra land art e meditazione creativa, una pratica suggestiva che cattura la fantasia e lascia una traccia transitoria di sé. di Alberto Piastrellini Passeggiando su una spiaggia rocciosa e sassosa, sulle rive di un torrente o lungo il sentiero di una montagna, vi sarà capitato di osservare strane “costruzioni” di pietre sovrapposte in equilibrio precario, quasi a sfidare le leggi della fisica. Sono chiaramente opera dell’uomo, ma non hanno l’utilità pratica degli “ometti” di pietra che segnalano una biforcazione del sentiero o la retta via al camminatore, tutt’altro…Quelle precarie sovrapposizioni di pietre sono piccole opere d’arte estemporanee ed effimere di altrettanti ignoti autori affascinanti dalla pratica dello Stone balancing. Già la scelta del materiale ha in sé qualcosa di magico, di arcaico, di ritorno al primitivo.Le pietre, infatti, recano un portato di secoli e accadimenti che ne hanno determinato la forma complessiva, la posizione, il colore, la texture della superficie. Individui particolarmente sensibili traggono particolari sensazioni dal maneggiare questa o quella pietra che “risponde” – a lor detto – emanando “vibrazioni” più o meno positive. Non è questo, certo il luogo adatto a sviluppare un discorso in tal senso, tuttavia è esperienza comune che la particolare forma di una pietra attrae l’attenzione e la curiosità, pertanto, realizzare sculture estemporanee formate dalla sovrapposizione quasi miracolosa di pietre di forme e dimensioni diverse, variamente orientate nello spazio ed in rapporto di equilibrio fra di loro significa regalare al mondo, anche solo per pochi istanti, un qualcosa di magico che accende la fantasia e apre la mente. Non a caso molti appassionati di stone balancig riconoscono a questa pratica a metà fra land art e meditazione creativa un notevole potere di rilassamento interiore fatto di ricerca dell’equilibrio (spirituale prima ancora che fisico), consapevolezza dell’ambiente circostante, immersione quasi totale negli elementi della natura. Diventare

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Al via Version Scrap Parigi 2019

Appuntamento con Donna di Fiori a Parigi per Version Scrap 2019, la fiera europea dedicata esclusivamente allo Scrapbooking. Di Anna Rita Felcini Sei già un appassionato di scrapbooking oppure vuoi conoscere questo hobby che sta spopolando in America e in Europa da qualche anno? Donna di Fiori ti porta a Parigi dal 12 al 14 aprile al Parc Floral per scoprire e condividere la nuova edizione del Version Scrap 2019. Per tre giorni interi saremo presenti al salone internazionale francese per imparare insieme lo scrapbooking, un passatempo creativo che mescola collage, patchwork, artigianato, pittura con lo scopo di decorare e personalizzare album fotografici, libri e tanto altro. Lo scrapbooking, o più comunemente scrap, infatti, è l’arte di conservare le nostre foto o i nostri ricordi in album decorati manualmente. Non ci sono delle vere regole per lo scrapbooking: è un hobby che nasce dall’amore per il mondo della carta. Biglietti, inviti, bomboniere, album possono essere arricchiti con abbellimenti e ornamenti di vario tipo (frasi in rilievo, fiori esiccati, adesivi, ritagli di giornale, pizzi, ecc.) da aggiungere alla foto o al layout del disegno progettato. E con la stessa tecnica dello scrapbooking si possono realizzare infinite varianti di lavori: diari, quaderni, cornici, scatole, ecc. Al Version Scrap Parigi 2019 ci saranno più di 200 corsi e workshop di formazione, oltre 70 distributori, tra scrappers professionisti, progettisti e costruttori, tantissimi nuovi prodotti e le ultime tecniche in fatto di decorazione, senza dimenticare animazioni e divertimento. Pensate che negli Stati Uniti la mania dello scrapbooking è così forte che il primo sabato di maggio, ormai da qualche anno, viene celebrato il “National Scrapbooking Day“. Vi aspettiamo sulle nostre pagine e sui social nei prossimi giorni per appassionarvi anche voi di Scrap! Voici la version Scrap Paris 2019 Rendez-vous avec Donna di Fiori à Paris pour Version Scrap 2019, le salon européen dédié exclusivement au Scrapbooking. Êtes-vous déjà un amateur de scrapbooking

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Spoon River: un curioso assaggio di poesia e un pizzico di pettegolezzo

Sulla scia della giornata dedicata alla poesia, ho ripreso in mano l’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters; rileggendo alcuni passi ho notato come diverse poesie di questa raccolta possono essere assimilate a notizie flash di genere scandalistico. Di Anna Rita Rossi Per chi non conoscesse l’opera di Edgar Lee Masters, L’ “Antologia di Spoon River” è una raccolta di poesie in verso libero che il poeta statunitense pubblicò tra il 1914 e il 1915. La particolarità di quest’opera è che le poesie sono gli immaginari epitaffi degli abitanti di un paesino inventato, situato nel Midwest statunitense: Spoon River. Questi brevi scampoli poetici mettono a nudo con grande nitidezza alcuni aspetti della vita degli abitanti di Spoon River; sono delle biografie condensate che trattano momenti salienti della vita delle persone vissute nell’immaginario paesino e che ora “dormono sulla collina”. Il sottile filo della poesia si sposa alla perfezione con alcune rivelazioni scabrose dei personaggi che spesso hanno toni di aperta e aspra critica nei confronti dei loro compaesani o nei confronti di se stessi. Le parole incise sulle lapidi sono spesso parole di fuoco ed emergono crudeli e rapide, taglienti, sovente, come rasoi. In altri casi, sono un resoconto pacifico di una vita ben vissuta o magari, trasmettono l’ultimo ricordo felice dell’estinto; altre ancora minacciano dalla tomba gli abitanti del paese con parole dure, condannando ipocrisie e crudeltà, senza mezzi termini. In alcuni epitaffi sono registrati i rimpianti, gli ultimi istanti di vita o gli errori fatali che hanno condotto alla morte la persona sepolta sotto la corrispondente lapide. Queste poesie sono piene di emozioni, cariche di una forte vitalità; sembra possibile poter udire, passando tra le lapidi, i desideri mai appagati, i rimpianti per aver rinunciato a vivere o persino la delusione di aver visto infranti i propri

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“La Scienza in Cucina”: da 128 anni must indiscusso per la buona tavola

Gastronomia, cultura locale e curiosità nel libro-culto di Pellegrino Artusi di Alberto Piastrellini Chi tra le Lettrici e i Lettori ha avuto la fortuna di avere una nonna e una mamma appassionate di buona cucina, avrà notato, nelle rispettive raccolte di libri tematici e fra i mille ritagli di ricette rubate negli anni da riviste e rotocalchi un volume malridotto, vecchio, magari anche spaginato e tenuto insieme con lo spago, come un pacchetto… Un cimelio di un passato lontano da avvicinare con la riverenza del questuante di fronte all’oracolo. Quel libro, che magari è passato di mano attraverso diverse generazioni femminili all’interno della stessa famiglia ha rappresentato per oltre un secolo – e v’hanno taluni che lo stimano massimamente anche oggi – il non plus ultra della gastronomia italiana, è: “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene – manuale pratico per le famiglie” di Pellegrino Artusi. Un’opera che ha visto la luce nell’Italia da poco unificata, nel 1891 e che, per la sua freschezza di contenuti testuali e ricchezza di suggerimenti, consigli e ricette pratiche, ha passato indenne 128 anni di storia nazionale sorvolando leggera e golosa le varie evoluzioni che hanno interessato le abitudini alimentari degli italiani e non solo. Pellegrino Artusi Nato nel 1820 a Forlimpopoli (provincia di Forlì), in quello che allora era territorio dello Stato Pontificio, da una famiglia benestante attiva nel commercio, si avvicinò agli studi letterari a Bologna per poi inserirsi tranquillamente nell’attività familiare sino al 1851, quando l’assalto alla casa paterna da parte del Brigante detto il Passatore (al secolo Stefano Pelloni), costrinse la famiglia ad una fuga verso il Granducato di Toscana (l’episodio vide lo stupro di alcune donne della casa, fra le quali una sorella di Pellegrino che impazzì per lo shock). Stabiliti a Firenze, gli Artusi, proseguirono nel

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Mondo Creativo Spring 2019: fantasia e creatività in mostra a Bologna

Da venerdì 29 a domenica 31 marzo un evento imperdibile per gli amanti dell’hobby e del craft A cura della Redazione Tutto pronto, alla Fiera di Bologna, per la nuova edizione di primavera de “Il Mondo Creativo”, evento imperdibile tra creatività e fantasia che offre la possibilità, da venerdì 29 a domenica 31 marzo di vivere una full immersion fra shopping creativo, prodotti, novità e tendenze dell’handmade. La manifestazione, che da oltre un decennio è uno degli appuntamenti italiani leader nel settore dell’handmade, si caratterizza per l’ampio ventaglio di proposte riconducibili a 13 temi legati alla creatività: Bijoux, Party & Wedding, Bimbi creativi, Fimo & Miniature, Carta creativa, Home Decor, Grafica & Stationery, Garden & Green, Editoria creativa, Knitting & Crochet, Ricamo & Merletti, Cucito creativo. 200 espositori, più di 250 fra corsi, dimostrazioni e tutorial (sia presso i singoli espositori che nelle aule predisposte e nel Teatro Craft), 10 proposte di formazione “Professione Creativo“, un’area dedicata allo show cooking e ai corsi di cucina creativa, 2 aree pensate per i più piccoli (laboratori a ciclo continuo e baby park con spazio nursery). Senza contare il contest per partecipare alla selezione dei protagonisti della prossima sfilata che si terrà a novembre e il casting per partecipare alla selezione del “nuovo volto” testimonial della manifestazione, opportunità che fanno de “Il Mondo Creativo” la manifestazione più indicata per offrire ad appassionati esperti e alle prime esperienze, tante idee creative e tanti spunti per risvegliare fantasia e manualità. Senza contare l’opportunità di moltiplicare le occasioni per imparare o approfondire le tecniche più amate assieme a una community fatta di esperte creative, aziende giovani e dinamiche, professionisti che lavorano con l’obiettivo di dar vita a un’esperienza unica per gli espositori e per i visitatori. Il Mondo Creativo Spring 2019 sarà anche show cooking e corsi di cucina creativa (Teatro Food): 18 food blogger condivideranno idee e trucchi, ognuna su uno speciale tema di cucina creativa. Inoltre, ad ogni dimostrazione il pubblico riceverà una cartolina con la ricetta presentata. Tante e variegate le proposte per le famiglie con laboratori gratuiti per bambini e una grande area dedicata al gioco, a cura

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Sposa: l’agenda beauty prima del sì

Avete già organizzato un “piano di bellezza” per le vostre nozze? No? Non temete, ci abbiamo pensato noi.Ecco un vademecum beauty per arrivare perfette al gran giorno. La data delle nozze è stata fissata. Avete pianificato ogni dettaglio, scelto l’abito, il ristorante, spedito gli inviti, fatta la lista. Adesso è ora di pensare solo a voi. Affinché in quel giorno siate impeccabili, dovrete rimettervi in forma, scegliere il trucco sposa più adatto, testare tutte le pettinature più belle, pensare a manicure e pedicure, e tanto altro. Non entrate in panico! Ecco un planning di bellezza per non dimenticare nulla ed essere radiose nel giorno delle vostre nozze.  12 mesi prima Capelli prima di ogni cosa! Avete già pensato a come portarli? E il colore? Meglio decidere sin da subito, onde evitare di arrivare al grande giorno con acconciature e colore sbagliati. Depilazione definitiva. Se ci state facendo un pensierino, sappiate che i risultati si vedranno a lungo termine, quindi occorreranno delle sedute mensili presso un centro specializzato, cominciando almeno un anno prima. Depilazione definitiva. Se ci state facendo un pensierino, sappiate che i risultati si vedranno a lungo termine, quindi occorreranno delle sedute mensili presso un centro specializzato, cominciando almeno un anno prima. 6/7 mesi prima Idea trucco e acconciatura. Circa 6 o 7 mesi prima delle nozze potrete cominciare a farvi un’idea del trucco e dell’acconciatura. Quale saranno le nuance di moda per quest’anno per il make up da sposa? E le pettinature più di tendenza? Mettete da parte terre e autoabbronzanti. La sposa per antonomasia sceglie nuance delicate e toni neutri. Concedetevi qualche prova trucco prima della scelta finale. Per l’acconciatura mettete via gel, cere e tutto l’armamentario utile per raccogliere i capelli in acconciature costruite, tirate e troppo ordinate. Le spose di oggi puntano all’eleganza effortless chic,

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Quando le donne andavano riportate alla “ragione”

In occasione dell’8 marzo, proponiamo una breve riflessione su una vecchia usanza marchigiana – e non solo – per richiamare le donne alla “ragione”. Di Anna Rita Rossi Nella tradizione marchigiana l’espressione linguistica “battere con la ragione” o “suonarle di santa ragione” riporta alla triste condizione delle donne maritate, di “qualche” anno fa.L’usanza in questione consentiva al marito di richiamare all’obbedienza la moglie, mediante un bastone, denominato, appunto, ragione che, a volte, era accompagnato dall’aggettivo “santo”, come sinonimo di “giusto”. Pare che tale atteggiamento di predominanza di genere non fosse tenuto solo da mariti delle nostre contrade. Ci sono resoconti di antropologi ed etnologi che confermano come simili atteggiamenti siano stati tenuti da maschi di altre nazioni e continenti: chi con la frusta, chi con un ramo di salice o altri strumenti ritenuti idonei, la consorte veniva “riportata alla ragione”. Nelle Marche lo strumento utilizzato per esprimere il ruolo dominante che era svolto dal marito ovvero la “ragione” faceva addirittura parte del corredo nuziale e, in certi casi, era tramandato di generazione in generazione dal padre della sposa al futuro genero per proseguire nell’educazione di subalternità della donna che, nonostante da figlia diventasse moglie, doveva essere egualmente formata in continuità attraverso le istruzioni che il padre trasmetteva al coniuge della figlia. Riflettere sulle vecchie usanze ci aiuta a capire come le donne abbiano percorso un faticoso viaggio verso la parità di genere, ma il fatto che la ragione continui a vivere nelle espressioni linguistiche ammonisce al contempo che il viaggio è finito e che le disuguaglianze non sono state definitivamente sconfitte e che altri ostacoli si frappongono tuttora e ricadute sono sempre in agguato. (notizie sulla “ragione” sono state desunte: Raffaele Corso, Rendiconti, vol. XII, anni 1941-1949), Istituto Marchigiano di Scienze Lettere e Arti, Ancona, 1950).
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Settimana dei Musei: dal 5 al 10 marzo si entra gratis nei musei e siti statali d’Italia

L’iniziativa del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali aumenta i giorni di accesso gratuito e introduce con #iovadoalmuseo riduzioni significative per l’ingresso di giovani dai 18 ai 25 anni. Di Alberto Piastrellini Inaugurata ieri, a Roma, nel corso di una visita del Ministro della Cultura Alberto Bonisoli a Palazzo Altemps la Settimana dei Musei 2019 che prevede, dal 5 al 10 marzo l’accesso gratuito ai Musei e siti statali. La Settimana dei Musei è istituita dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali nell’ambito delle azioni nell’iniziativa: #iovadoalmuseo volta a promuovere la cultura della bellezza e dell’arte in una nazione che vanta strutture di rilevanza mondiale per la ricchezza delle opere ivi esposte, nonché un tessuto unico al mondo di micromusei diffusi capillarmente sul territorio. Con l’introduzione della Settima dei Musei le giornate di accesso gratuito passano da 12 a 20! Nella fattispecie restano gratuiti gli accessi le prime domeniche di ogni mese, ma solo da ottobre a marzo e viene introdotta una settimana di accessi gratuiti che varierà di anno in anno (quest’anno cade appunto nei giorni dal 5 al 10 marzo). Un’altra grande novità introdotta dal dicastero della Cultura è il biglietto ridotto per i giovani dai 18 ai 25 anni che, nei giorni di apertura a pagamento, possono entrare al prezzo di 2 euro. Inoltre, per migliorare l’offerta e aumentare la fruibilità dei luoghi della cultura del Mibac, 8 giornate gratuite sono autonomamente gestite dai Direttori dei singoli siti o musei.L’idea sottesa alla creazione della settimana dei musei nasce dalle considerazioni dei tanti addetti ai lavori che, negli anni passati, avevano salutato con favore le affluenze record nelle domeniche gratuite, ma, al contempo, avevano rimarcato come le eccezionali presenze di visitatori avessero creato non pochi problemi alla gestione dei siti coinvolti, alla salvaguardia delle opere esposte

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Villa Lante, racconto magico di acqua e di verde

Fra i più bei giardini italiani del ‘500, Villa Lante stupisce il visitatore con meravigliose fontane che costituiscono un interessante “racconto” allegorico del rapporto Uomo-Natura. Di Alberto Piastrellini Un’idea per una gita domenicale alla scoperta della bellezza nascosta nel nostro patrimonio storico architettonico, non disgiunto da suggestioni verdi è rappresentata dalla mèta di Villa Lante, divertente capriccio del ‘500 italiano a pochi Km da Viterbo nel piccolo centro di Bagnaia. La visita alla Villa e al suo magnifico parco-giardino che ricadono fra i luoghi di cultura del Ministero per il Beni e le Attività Culturali – Polo Museale del Lazio offre la possibilità di immergersi in un contesto dove Arte e Natura convivono da sempre in un rapporto privilegiato mediato dalla presenza significativa dell’acqua utilizzata per costruire una sorta di messaggio cifrato nascosto nella presenza delle innumerevoli fontane che costituiscono l’attrazione principale del giardino stesso. Un po’ di storiaOltre 22 ettari di parco concepiti in primo luogo nei primi anni del ‘500 quando il Cardinale Raffaele Riario volle creare una sua personale riserva di caccia: il “barco”, cintando con un’alta murata la sommità di un intero colle. I proprietari che si succedettero nell’arco di un secolo, ovvero i cardinali Niccolò Ridolfi, (1538 – 1550); Giovanni Francesco Gambara (1568 – 1587), Federico Cornaro (1587 – 1590); Alessandro Peretti Montalto (1590 – 1623) apportarono modifiche consone alle proprie diverse esigenze e personalità aggiungendovi vari ambienti adibiti ad abitazione, scuderie e casini di caccia seguendo i gusti e la moda del tempo in un gioco di sovrapposizioni di stili diversi. Il tutto sino al 1656 quando Villa e Giardino passarono in enfiteusi alla famiglia Lante della Rovere che ne mantenne la proprietà sino al 1933. Villa Lante: suggestioni verdiPasseggiare nel Parco fra le selve di querce secolari, platani, cedri ed ippocastani cullati dal

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